dal discorso del Sindaco di Binasco – Riccardo Benvegnù

“…..Quello di oggi è un anniversario particolare: il centesimo. E lo è non solo per l’attenzione che dedichiamo ai numeri “tondi”, ma per il carico di responsabilità che aumenta nei nostri confronti. Cento anni, un secolo, assegnano definitivamente alla storia ciò che è stato. Cento anni non contemplano più testimoni delle atrocità della prima guerra mondiale. Ed oggi, possiamo dirlo, sempre più rari ed unici sono i superstiti della seconda.
Il rischio che il monito e gli insegnamenti di queste immense tragedie non siano tenuti vivi con sufficiente energia è altissimo.
Nelle scuole, con i nostri insegnanti, nelle famiglie, nella nostra comunità, abbiamo il dovere di conservare il ricordo. Il dovere di raccontare, di spiegare, di non sottovalutare.
Invece assistiamo sempre più spesso, anche da parte di chi ci governa, di chi ha il compito di dettare la linea, ad atteggiamenti che tendono a sminuire, a banalizzare, a disinnescare, quella che dovrebbe essere la naturale e scontata avversione verso comportamenti ed idee che anche solo minimamente ci accostano agli anni più bui della nostra storia.
Con l’incapacità di prendere le distanze da chi predica e vive divisione, particolarismo, odio e razzismo, tipiche facce del fascismo che la nostra storia ha drammaticamente conosciuto.
Come ha scritto il compianto Cardinale Carlo Maria Martini “La pace va costruita e sostenuta con iniziative giorno dopo giorno, basta un soffio di vento per distruggerla”
……..Gli stessi che hanno giocato con la disgregazione dell’Italia per tornaconto elettorale sono coloro che oggi denigrano l’Europa.
Un’Europa che certo ha grandi nodi economici da risolvere, che non può prescindere dalla specificità delle economie dei singoli paesi aderenti, ma che va protetta ed esaltata per la meravigliosa idea di essere un unico grande popolo, un’unica grande patria.
Dove i giovani si muovono, si incontrano, studiano, lavorano…insieme, sotto un unico grande cielo.
Negli ultimi 50 anni non c’è stato un posto migliore per nascere: per cultura, ricchezza, bellezza, opportunità.
Il 4 novembre mi ricorda ancora una volta la bellezza e nel contempo il peso della responsabilità della fascia tricolore che ho l’onore di indossare. Mi ricorda che essere uomini di stato significa avere comportamenti sobri, rispettosi, con un altissimo senso delle istituzioni.
Comportamenti che ogni giorno vedo nella dignità delle donne e degli uomini delle forze dell’ordine, di coloro che in questi giorni lottano contro le avversità del clima e dell’incuria umana. La stessa dignità e nobiltà che altre donne e uomini dello stato ogni giorno mostrano col loro lavoro e la loro dedizione: insegnanti, medici e infermieri, impiegati dell’apparato statale che si confrontano con innefficenze e disagi.
La stessa dignità di chi con coraggio fa impresa, di chi produce reddito e posti di lavoro.
Di operai ed impiegati chi ogni mattina si presentano in fabbrica e in ufficio, dopo viaggi che iniziano all’alba e finiscono la sera tardi. La dignità di chi con sacrificio, proprio e della famiglia, dedica tempo ed energie alla propria formazione, ad arrivare ad un qualificante titolo di studio.
La dignità e la bellezza di chi si prende cura di un figlio, di una famiglia, di un anziano, di un ammalato.
Comportamenti cosi distanti dal teatrino della politica cui i nostri più alti rappresentanti ci costringono ad assistere, tra un selfie e un’ospitata in tv.
In un clima da campagna elettorale permanente.
Oggi il 4 novembre 2018 deve metterci tutti di fronte alle nostre responsabilità: perché il futuro di questa nostra patria dipende prima di tutto dai nostri comportamenti quotidiani.
Tutti, in prima persona, dobbiamo mettere al centro del nostro agire il bene comune.
Senza scarichi di responsabilità, che sono sempre di altri e altrove.
Senza offendere ed umiliare chi rispetta le regole e si impegna, senza essere deboli coi forti e forti coi più deboli.”
Oggi il 4 novembre, dopo 100 anni, chiede a tutti noi un impegno rinnovato. Uno scatto d’orgoglio. Lo dobbiamo, a quei nomi scritti sulla lapide ed ai nostri figli.